lunedì 26 gennaio 2009

erre tre


Erre Tre è una produzione di Umberto Fabi (Scenari Armonici). Liberamente ispirata al Riccardo terzo di W. Shakespeare, l'opera burattinesca è giocata con "attori da dito" all'interno di una cornice per dipinti. Il testo scekspiriano è rispettato in linea di massima come sono soliti rispettare i testi e la vita più in generale i burattini. Nei riquadri a seguire troverai, tu visitatore che passeggi beato sul manto di cotesto blog, informazioni riguardanti l'opera umbertiano-scecspiriana, o meglio per rispetto all'età ( e "famosità"), scecspiriana-umbertiana, o meglio ancora, burattinesco-umana... buon proseguimento.
u.f.

umberto fabi

Mi piace definirmi figlio d’arte, o meglio di artista. Mio padre s’interessò come artigiano di poesia e pittura, arti che tanto mi saranno, poi, utili nel praticare la disciplina teatrale. Ma il primo amore giovanile lo incontrai in ambito musicale: il canto. Su questa traccia ebbi modo di sperimentare la vocalità nel rock/blues padano degli anni ottanta. Terminati gli studi convenzionali m’affacciai sul teatro, frequentando i primi corsi e seminari, incontrando i miei primi maestri e lavorando a bottega nel campo della ricerca teatrale. Professionalmente iniziai nell’87, come attore in un opera di teatro di figura che vinse il Premio Nazionale di Teatro Festival di Padova. Da quel momento mi dedicai al teatro, addentrandomi in quei luoghi privilegiati dove scoprire ed esprimere nuovi linguaggi artistici: teatro di ricerca e teatro ragazzi.
Entrai nel T.S.B.M. di Otello Sarzi, compagnia storica, tra le prime in Italia a sperimentare e promuovere il teatro per ragazzi, scuola-bottega, che ha allevato tanti artisti e compagnie che oggi lavorano in questo delicato ambito scenico. Qui mi sono formato e trasformato professionalmente in aiuto-regista, regista, autore di testi per il teatro e attore realizzando una quindicina di opere fra cui: “La strega è brutta e catt…” e “Mascia e l’Orso” (opere vincitrici del Festival Nazionale del Teatro per Ragazzi di Padova); “Pierino e il Lupo” liberamente ispirato all’opera di Prokofiev (produzione T.S.B.M. per RAITRE, segnalato al Festival Internazionale di Burattini di Mistelbach a Vienna, Austria); “Speciale Prokofiev”, “La rosa di San Giorgio” liberamente tratto dall’ omonimo racconto di J. Sennell e “Gulliver” liberamente tratto dall’omonimo racconto di J.Swift (produzioni T.S.B.M., selezionati Festival ETI Stregagatto ’94, ’95, ’97); l’opera musicale “Tancredi e Clorinda” di Monteverdi (coproduzione T.S.B.M./Cappella Musicale di San Petronio di Bologna, Festival di musica antica di La Chaise Dieu a Lione, Francia).
Momento centrale di questa esperienza professionale è stato l’incontro con il maestro Otello che mi ha iniziato all’arte del burattinaio.
Nel mio percorso ho voluto mantenere un forte legame col canto, affinando le tecniche vocali, che in seguito mi sono state utili nel dar vita e voce ai burattini; ho compiuto studi vocali con l’attrice e cantante Gabriella Bartolomei, con l’attrice e cantante Sainkho Namchylak, studi di “canto arabo” con il cantante e poeta Ahmed Ben Dhiad ed ho partecipato come corsista al seminario di “canto tradizionale indiano” condotto da Frederich Glorian. Continuo ad esperire nel campo della vocalità e del canto compiendo ricerche nell’ambito della musica tradizionale emiliana.
Dal ’98 lavoro come free-lance per sviluppare e affinare un percorso artistico d’esplorazione sui linguaggi espressivi dell’attore. Come “aggiornamento” professionale pratico l’arte marziale dell’ aikido e la sua tecnica interna l’aiki-taiso.
Mi sono dedicato all’insegnamento e all’educazione teatrale nella scuola, luogo ideale per la sperimentazione. Per dieci anni sono stato titolare della cattedra di “Attività e Cultura Teatrale” presso il Liceo Classico Statale G. D. Romagnosi di Parma, esperimento unico in ambito nazionale, dove l’agire il teatro diviene materia curricolare intergrata alle canoniche materie umanistiche. Nel laboratorio pomeridiano permanente ho poi curato la messa in scena di vari progetti segnalati nei più importanti festival nazionali ed europei del teatro giovanile.
Proseguo il mio percorso artistico come regista, autore, attore e burattinaio in progetti di teatro-musica: produzione Umbertiner Pha Bi “Un soldato”, liberamente ispirato al “Macbeth” (“Festival di Resistenza” al museo Cervi di Gattatico RE per il 60°del sacrificio dei Sette Fratelli Cervi) e produzione Umbertiner Pha Bi “Erre Tre”, liberamente ispirato al “Riccardo III” ("Festival Shakespeariano" di Verona).

domenica 25 gennaio 2009

erre tre (dal riccardo III di william shakespeare)


È il tentativo di studiare il consunto testo scecspiriano adottando il linguaggio teatrale dell’animazione di burattini. La struttura drammaturgica stessa del teatro elisabettiano mi suggerisce di costruire una tragedia per burattini. Il personaggio di Riccardo non chiede altro che d’essere usato come burattino: la figura stessa di Riccardo proviene dal personaggio del “Vizio” delle rappresentazioni morali pre e co-scespiriane dove detto personaggio allegorico era impersonato dal buffone della compagnia. Il Riccardo non è umano, ma le sue pulsioni al potere sono dell’uomo, umane sono la sua crudeltà e la solitudine in cui gioca la sua partita, dolorosamente umana è la sua sconfitta. Prendendo vita nel corpo del burattino, Riccardo torna alla sua dimora originaria, quella sottile linea d’ombra che separa e congiunge il tragico e il grottesco.

come e perchè nasce erre tre

Erre tre è un opera per una compagnia di burattini e un burattinaio.
È mio desiderio raccontare attraverso questo primo atto cartaceo perché ho scelto di mettere in scena un opera per burattini.


Il burattino ha come dote fondamentale quella d’essere un oggetto magico in grado di suscitare, in chi lo guarda, e in chi lo usa (e al fin ne è usato) atmosfere inaspettate. Ad esempio, ho potuto verificare ed esperire in questi anni quanto il burattino fornisca chiavi di lettura sorprendenti proprio nel lavoro tecnico ed espressivo di un attore: dall’ evocare suoni ancestrali al richiamare posture remote, il burattino apre l’attore ad un nuovo mondo ed a un nuovo modo del corpo, perchè il burattino è un oggetto che da l’opportunità all’attore di vedere, all’esterno di sé, quel che giace all’interno di sé. L’attore può trovare nel burattino migliore rifugio e miglior luogo d’esistenza di quelli che può offrirgli la maschera. Mentre con questa una volta coperta la faccia resta il corpo a parlare, con il burattino, dell’attore appare solo la mano talvolta nascosta dalla veste/corpo. L’ingombrante attore scompare, scompare la fatica di fingere d’essere qualcosa d’altro, l’attore si dissolve, e diviene demiurgo di sé stesso: il suo corpo sintetizzato in una mano, il suo volto stilizzato in una maschera dall’espressione inflessibile, il suo spirito compresso ed espresso da un oggetto. Il personaggio purificato dal proprio corpo, libero nell’ esistere e insieme libero d’essere profondamente umano, ora che risiede in un nuovo corpo che è solo oggetto. Non più presenza ingombrante, ma sintesi totemica: una testa in legno, una mano a far da anima e una voce che crea dinamica.


Abbraccio e sostengo la tesi di chi ritiene che Il burattino sia stato il primo strumento d’azione teatrale dell’uomo, ai tempi in cui il teatro ancora non s’era fatto luce. A quell’epoca l’uomo cominciò a usare un simulacro, piuttosto che sé stesso in prima persona, per “ritualizzare” ciò che sostava bruciando tra coscienza e incoscienza: l’ineffabile, la paura del buio, del buio della morte, dei misteri della vita. E giù fino all’orrore più profondo: la propria incompletezza, umana incompiutezza, condizione così grottesca e brutta, da suggerirgli il rimedio della risata grassa e violenta. In quei tempi si ebbe la nascita della farsa. Poi l’uomo scoprì che l’orrore esorcizzato attraverso l’arte può divenire buffo o addirittura, talvolta, bello.

Il burattino nasce in questo spazio ed è rappresentazione del grottesco, al contrario della “borghese” marionetta, che tenta di compiacere l’essere umano imitandolo nella sua inconsapevole miseria. Il burattino, con il suo bel faccione da imbecille, ci deride mostrandoci con impudenza le nostre ridicole fattezze, la marionetta ci adula dicendoci che le nostre flatulenze profumano. E mentre la vezzosa marionetta è mossa dall’alto dei cieli collegata a fili invisibili, il burattino è mosso dal basso, è mosso dalle pulsioni.

Nella sua funzione di totem, il burattino acquista simbolicamente poteri magici, diviene insieme strumento e metafora. Un totem, uno spirito protettore primigenio, drammaticamente uomo, apre una porta d’accesso a una dimora sacrale, proprio attraverso la dissacrazione dell’uomo.


È necessario ritrovare le archetipiche tracce del burattino e ripulirlo da schemi e pregiudizi che oggi lo relegano a fenomeno da baraccone e riportarlo nelle sacre aule del teatro.
È urgente ricordare al mondo che il burattino non è - esclusivamente - per bambini, ma è – anche - per bambini, in quanto frequentatori privilegiati del magico.
È imperioso urlare che il repertorio del burattino è quello epico-tragico. Le fiabette analgesiche non hanno nulla a che fare con il burattino, che nasce dalla terra e trae vita dal ventre colmo di pulsioni, e dunque abita il dolore, è dramma che si fa corpo di legno.
Il burattino non è un idiota, forse uno stronzo, ma un idiota mai.
E sì lasciatemelo dire: il burattino è tragico.

martedì 20 gennaio 2009

recensione di Valeria Ottolenghi


recensione di Valeria Ottolenghi pubblicato mercoledì 14 marzo 2007, nella pagina degli spettacoli, rubrica “Prime del Teatro” della Gazzetta di Parma

TRA BURATTINI E BURATTINAIO:
LA “LEGGEREZZA” DI UMBERTO FABI
VALE ANCHE PER RICCARDO III

Grande sempre il fascino di Shakespeare! Dopo aver affrontato in scena, accompagnato in quella occasione dalla musica con più chitarre di Paolo Schianchi, il “Macbeth”, testo notturno, incubo d’insonnia e sangue, Umberto Fabi ha messo ora in gioco la sua maestria non solo d’interprete ma anche di burattinaio con un'altra opera buia, catene di delitti per la conquista della corona: “Riccardo III”!
Ma la cifra stilistica di Fabi è sempre la leggerezza – e qui in particolare, con i personaggi teste scolpite “a dito” infilate nell’indice, la mano come corpo espressivo, “nudo”, senza alcuna stoffa a comporre costumi, continuo si rivela il gioco teatrale ironico, fresco, ricco di trovate, scorrendo tutto come un insieme di gioiose, ammiccanti soluzioni ad alto grado di teatralità.
E se la tragedia incalza, con uccisioni che si susseguono affannose, ben definito il progetto per giungere al trono, a guidare le azioni – così delittuose! – pare essere innanzi tutto il divertimento, il racconto sintetizzato in meno di un’ora con il piacere di tante sorprese.
Molto piccola la baracca, una cornice a definire lo spazio dentro cui muovere i personaggi, lì dove apparirà, nella parte finale, lo stesso Fabi, come si guardasse allo specchio, divenuto lui protagonista, ultimo gesto il coltello alla gola: ai saluti capovolta la testa burattina del terribile Riccardo III.
(…) “Erre Tre” che inizia proprio con uno dei più famosi incipit shakespeariani: “Ora l’inverno del nostro scontento si è fatto estate al bel sole di York…”
ma poi tutto verrà compresso, i dialoghi veloci, a tratti anche dei cartelli per evidenziare presenze al plurale, “parenti” per esempio.
Clarence è turbato: lo stanno portando alla torre. Cerca conforto nel fratello, non sapendo che è proprio lui la causa della sua prigionia – e poi del suo assassinio.
Umberto Fabi mostra particolari abilità nell’animare le sue creature, spesso le dita mobili come mani che chiedono o pregano… o pugnalano! E viene cortegiata Anna. E si sussurra e si cospira. Con voci che mutano, anche di canto. Una grande piacevolezza d’insieme. Con ammirazione intorno e molti applausi.

mercoledì 7 gennaio 2009

recensione di M.G.Guiducci


venerdì 8 febbraio 2008
"ilcaffèdelteatro"
RICCARDO III A DUE MANI
Lasciatemelo dire: Umberto Fabi è un Uomo di Teatro completo; lasciatemelo dire: Umberto Fabi è il teatro, almeno il suo, incarnando, coltivando e vivendo un’arte autarchica ed ecclettica come quella del burattinaio-attore-regista-scenografo-musicista. Assistendo al suo Erre Tre, Opera per Burattini e Burattinaio, Liberamente ispirato al “Riccardo III” di W.Shakespeare, se ne ha conferma: spettacolo ideato, scritto, diretto, interpretato, musicato, insomma di Umberto Fabi, una produzione Umbertiner Pha Bi, “il tentativo di studiare il consunto testo scespiriano adottando il linguaggio teatrale dell’animazione di burattini”. Qui Fabi riporta il complesso personaggio di Riccardo III alla sua vera ed originaria dimensione, quella farsesca ed allegorica del Vizio delle sacre rappresentazioni pre-elisabettiane. Un allestimento piccolo piccolo, in uno spazio para-teatrale, quello della scuola di Via Pini, coraggiosamente e intelligentemente adottato dal Teatro del Cerchio. Il contrasto tra le due dimensioni infonde forza alla scena, se pur minima, e lo sguardo si stringe, curioso e divertito, sulla piccola baracca di Fabi. Piccoli e magnetici sono anche gli attori: burattini da dito con morfologie intense, grottesche, come è la sua arte. Una compagnia con cui Fabi lavora in perfetta armonia: una collaborazione artistica-umana senza problemi di paghe, capricci da star. Ogni parte del corpo di Fabi ha una personalità ben definita, ognuna una voce e un modo personale di stare, essere; dita incluse: sia quando coperte dal personaggio di legno che quando scoperte, nude, serve di scena originarie. Così tra chi parla un italiano anglofono balbettante e chi ha una forte cadenza siciliana o veneta, spicca Riccardo, il burattino meno umano di tutti per parole ed opere ma con una voce bassa, profonda, di crudeltà e violenza tutte umane e reali. Si ride grazie ad un umorismo tra il dadaista e il triviale, dolce e amaro, acuto e rozzo; si ride della drammaticità della storia, lasciando però intatta la dimensione “epica-tragica” a cui, secondo Fabi, appartiene il Teatro di Figura ed a cui deve essere ricongiunto. “Il burattino non è un idiota; forse uno stronzo, ma un idiota mai…Il burattino è tragico”, scrive Fabi; il burattino è un oggetto magico, totemico, che indossato e incarnato dal burattinaio ne trasforma le membra, molto più di una maschera, celandone il corpo ma espandendone le potenzialità comunicative e fascinative. Fino a poter rendere il burattinaio o l’attore per un breve ed intenso finale burattini anche loro: Fabi emerge dal fondo con una voce sua ma esterna, volto e presenza di un Riccardo sconfitto, burattino in carne ed ossa, “demiurgo di sé stesso.