mercoledì 7 gennaio 2009

recensione di M.G.Guiducci


venerdì 8 febbraio 2008
"ilcaffèdelteatro"
RICCARDO III A DUE MANI
Lasciatemelo dire: Umberto Fabi è un Uomo di Teatro completo; lasciatemelo dire: Umberto Fabi è il teatro, almeno il suo, incarnando, coltivando e vivendo un’arte autarchica ed ecclettica come quella del burattinaio-attore-regista-scenografo-musicista. Assistendo al suo Erre Tre, Opera per Burattini e Burattinaio, Liberamente ispirato al “Riccardo III” di W.Shakespeare, se ne ha conferma: spettacolo ideato, scritto, diretto, interpretato, musicato, insomma di Umberto Fabi, una produzione Umbertiner Pha Bi, “il tentativo di studiare il consunto testo scespiriano adottando il linguaggio teatrale dell’animazione di burattini”. Qui Fabi riporta il complesso personaggio di Riccardo III alla sua vera ed originaria dimensione, quella farsesca ed allegorica del Vizio delle sacre rappresentazioni pre-elisabettiane. Un allestimento piccolo piccolo, in uno spazio para-teatrale, quello della scuola di Via Pini, coraggiosamente e intelligentemente adottato dal Teatro del Cerchio. Il contrasto tra le due dimensioni infonde forza alla scena, se pur minima, e lo sguardo si stringe, curioso e divertito, sulla piccola baracca di Fabi. Piccoli e magnetici sono anche gli attori: burattini da dito con morfologie intense, grottesche, come è la sua arte. Una compagnia con cui Fabi lavora in perfetta armonia: una collaborazione artistica-umana senza problemi di paghe, capricci da star. Ogni parte del corpo di Fabi ha una personalità ben definita, ognuna una voce e un modo personale di stare, essere; dita incluse: sia quando coperte dal personaggio di legno che quando scoperte, nude, serve di scena originarie. Così tra chi parla un italiano anglofono balbettante e chi ha una forte cadenza siciliana o veneta, spicca Riccardo, il burattino meno umano di tutti per parole ed opere ma con una voce bassa, profonda, di crudeltà e violenza tutte umane e reali. Si ride grazie ad un umorismo tra il dadaista e il triviale, dolce e amaro, acuto e rozzo; si ride della drammaticità della storia, lasciando però intatta la dimensione “epica-tragica” a cui, secondo Fabi, appartiene il Teatro di Figura ed a cui deve essere ricongiunto. “Il burattino non è un idiota; forse uno stronzo, ma un idiota mai…Il burattino è tragico”, scrive Fabi; il burattino è un oggetto magico, totemico, che indossato e incarnato dal burattinaio ne trasforma le membra, molto più di una maschera, celandone il corpo ma espandendone le potenzialità comunicative e fascinative. Fino a poter rendere il burattinaio o l’attore per un breve ed intenso finale burattini anche loro: Fabi emerge dal fondo con una voce sua ma esterna, volto e presenza di un Riccardo sconfitto, burattino in carne ed ossa, “demiurgo di sé stesso.

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